martedì 4 giugno 2013

Ecogreen per l'Italia: evviva!!


Chi mi conosce sa che da anni personalmente mi batto, nel mio piccolo, per un’Italia cha abbracci definitivamente, senza reticenze e tentennamenti, la via della Soft Economy. Il che vuol dire la strada dell’economia che si sposa con il territorio, e quindi sia sostenibile; della preservazione dell’arte e della cultura che ci rendono senza uguali nel mondo; della conservazione di un ambiente, e della biodiversità che ne è espressione, di peculiare bellezza.

Un anelito di speranza affinché si uniscano le forze per promuovere ciò che a me e a molti altri sembra ovvio, ma che i nostri governanti e le nostre istituzioni politiche fanno finta di non sapere e di non vedere, ci arriverà il prossimo 28 giugno da Roma, giorno in cui sarà battezzato “Ecogreen per l'Italia”, un’iniziativa promossa da persone con storie diverse, unite però dalla convinzione che per affrontare la crisi di oggi “serva un radicale cambiamento culturale nelle classi dirigenti e serva un ‘green new deal’, un nuovo patto sociale all’insegna della green economy e dell’ecologia”, come si legge sul manifesto di costituzione.

L’appuntamento sarà quindi a Roma, all’Auditorium del Maxxi, Museo romano d’arte contemporanea progettato da Zaha Hadid, e durerà dal mattino alle 10,00 al pomeriggio alle 17,00 di venerdì 28 giugno. Saranno presentati nell’arco della giornata le idee, le proposte e gli obiettivi di Ecogreen.

Per chi volesse avere maggiori informazioni è possibile scaricare il manifesto che spiega il senso dell’iniziativa cliccando su http://ecogreenitalia.wordpress.com

Sarebbe lungo riportarvi qui il manifesto, articolato e ben fatto, che credo vada letto per come è stato redatto, per intero, lasciando al lettore il modo di “sentirselo proprio” o meno. Ci tengo però a evidenziare che Ecogreen per l’Italia si definisce un’”impresa politica”, che vuol dare nuova speranza all’Italia partendo dall’idea che un’economia e una società “green” siano la risposta più efficace e promettente agli importanti problemi che oggi siamo costretti ad affrontare, e non solo in Italia.

Ecogreen vuole proporre un nuovo patto sociale fondato sulla green economy e sulla conversione ecologica di produzioni e consumi. Ciò al fine di “risollevare l’Italia nel segno della sostenibilità ambientale e sociale; per creare ricchezza senza distruggere la natura, il paesaggio e gli equilibri ecologici; per creare lavoro investendo nella qualità ambientale e nelle altre grandi risorse immateriali come l’educazione, la cultura, la conoscenza, la coesione sociale, la partecipazione democratica, la legalità.”

Sempre sul manifesto si legge:  “Amiamo l’Italia e per questo la vogliamo più sostenibile, più dinamica, più equa, più civile. Crediamo che il nostro Paese abbia le risorse materiali e morali, il patrimonio di saperi scientifici e tecnologici necessari a garantire una prospettiva di sviluppo duraturo e di benessere diffuso; ma tale possibilità non è scontata e per concretizzarla occorre dare una nuova centralità ai valori dell’equità sociale, della sostenibilità ambientale, dell’etica pubblica, della promozione del merito individuale."

Come dirlo meglio? Forza Ecogreen: siamo con voi!!!

lunedì 20 maggio 2013

Belli e Ben Fatti!


Una recente ricerca del Centro Studi Confindustria e di Prometeia ha confermato quanto il prodotto “bello e ben fatto” del Made in Italy sia ancora, recessione o no, una variabile vincente per poter rilanciare la nostra economia. La ricerca, giunta alla sua IV edizione e chiamata efficacemente “Esportare la Dolce Vita”, evidenzia, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che le importazioni da parte dei soli Paesi emergenti dei prodotti BBF (Belli e Ben Fatti) crescerà fino a 169 miliardi, traguardo previsto per il 2018! Ben 54 miliardi in più rispetto al 2012, con un aumento del 47%. In “pole position” in questa eccezionale crescita ci sono la Russia, la Cina e gli Emirati Arabi Uniti.

Questo dato, di per sé più che interessante, assume ancora maggior valore se consideriamo che non sono inclusi nel prodotti BBF i beni di lusso, ma solo quelli di fascia medio-alta dell’alimentare, dell’arredamento, dell’abbigliamento, delle calzature e del tessile casa. A questi settori si aggiungono, per la prima volta in questa edizione recentemente presentata a Milano, l’occhialeria e l’oreficeria-gioielleria.

La  ricerca poggia la sua previsione anche su un’altra evidenza: nel 2018 ci saranno nel mondo ben 194 milioni di nuovi ricchi oltre quelli già censiti nel 2012. E detta alcune raccomandazioni, fondamentali per riuscire a raggiungere e implementare questi obiettivi decisamente alla portata del nostro Paese e dei nostri imprenditori. La produzione culturale italiana, per esempio, deve essere assolutamente rafforzata, perché in grado di consolidare l’immagine del BBF nel mondo trasmettendo valori e contenuti dell’Italian style of life, di traino a tutto il resto delle nostre esportazioni; poi, le istituzioni devono spingere affinché la nostra imprenditoria difenda l’importanza della filiera del BBF, che garantisce la qualità del prodotto italiano, rinsaldando l’immagine che all’estero viene percepita del Made in Italy. Anche perché si deve tenere presente che  il tessuto imprenditoriale del BBF, composto da 15mila imprese, rappresenta un quinto delle imprese manifatturiere esportatrici italiane, con una dimensione contenuta, ma con una grande vocazione proprio all’internazionalizzazione.

Ancora una volta ci tengo a dire: abbiamo già molto in Italia, innanzitutto il nostro immenso patrimonio artistico e culturale. Abbiamo poi una rete di imprese, in parte già portate per indole all’esportazione, che rappresenta lo zoccolo duro del Made in Italy e che ha ben fatto nel passato contribuendo non poco alla costruzione di questa solida immagine del nostro prodotto all’estero. Infine, i mutanti scenari dell’economia mondiale, con  l’emergere di Paesi che identificano un nuovo e potenzialmente fortissimo bacino di sbarco e di utenza per il nostro “saper fare”. Tutto ciò si traduce in un grandissimo potenziale di benessere per la nostra Italia e per noi che ci viviamo. Saremo mai capaci di comprendere che siamo alla guida di una Ferrari che richiederebbe solo un po’ di buon senso per vincere il Gran Premio della vita e della storia di questo nascente Terzo Millennio?

martedì 14 maggio 2013

La carta e il territorio


Da tempo sono convinto che in Italia abbiamo già tutto per uscire da una crisi economico-sociale nella quale, con maggiore consapevolezza in più da parte dei nostri connazionali e delle nostre istituzioni politiche nazionali e territoriali, non saremmo mai dovuti entrare o che, perlomeno, avremmo dovuto vivere solo marginalmente. E non sembri un’esagerazione quanto affermo!

Abbiamo il 65% del patrimonio culturale del mondo che, detta così, già colpisce come dato, e quasi spaventa, per il preponderante, direi schiacciante peso che la nostra nazione ha nel racconto della storia umana su questo pianeta. Eppure, non riusciamo ancora a valorizzare questo enorme tesoro che i nostri antenati ci hanno messo a disposizione. Non solo, ma lo stiamo progressivamente perdendo se presto non vi metteremo coscientemente e coscienziosamente mano.

In un contesto globale, in cui gli equilibri dell’economia cambiano e all’era dell’industrializzazione e della globalizzazione si sostituisce quella della terziarizzazione, del ritorno all’artigianato e della riscoperta dei territori, molti Paesi stanno cercando, non senza voli pindarici, di trovare argomenti e oggetti che possano dare risposta nell’offerta a questo nuovo tipo di domanda. Ma noi italiani abbiamo già tutto e, in fondo, noi delle ultime generazioni, la pappa ce la siamo trovata pronta.

Avete letto, per esempio, “La Carta e il Territorio” del francese Michel Houellebecq ? Racconta di una Francia dei decenni a venire in cui la gente torna a popolare i territori rurali, che progressivamente avevano perso attrattiva nell’era dell’urbanizzazione di massa tipica della fine del secolo scorso, perché la campagna e le tradizioni tornano di moda e i ricchi di tutto il mondo rivalutano un modo antico di vivere. Questo trasforma la Francia in una sorta di grande parco divertimenti. “Di fatto, i nuovi abitanti delle zone rurali non assomigliavano affatto ai loro predecessori. Non era stata la fatalità a indurli a lanciarsi nell’attività artigiana del cestaio, nel rinnovamento della casa contadina da affittare a turisti o nella produzione di formaggi, ma un progetto d’impresa, una scelta economica… Questa nuova generazione si mostrava più conservatrice, più rispettosa del denaro e delle gerarchie sociali. In modo sorprendente, il tasso di natalità in Francia era effettivamente risalito, senza tenere conto dell’immigrazione che si era comunque azzerata dopo la scomparsa degli ultimi lavori industriali e la riduzione drastica delle misure di previdenza sociale, all’inizio del terzo decennio del 2000”.

Appare evidente, quindi, come tutto il mondo stia cercando di tornare a una dimensione di vita, di produzione e di consumi più a misura d’uomo. Ciò ha niente a che vedere con la “decrescita felice”, anzi. L’obiettivo è invece quello di ritrovare un benessere cresciuto e diffuso, legato ai territori che viviamo e meno accentrato sia nelle mani di pochi individui che di pochi luoghi.  Il segreto sta nel continuare a crescere dal punto di vista sociale ed economico – il che significa una più equa ripartizione delle risorse e non una crescita indifferenziata e illusoriamente illimitata dei PIL – senza essere ostili verso il territorio di appartenenza, oltraggiandolo con comportamenti lesivi, ma anzi difendendolo e valorizzandolo. Solo così il mondo di potrà salvare e solo così l’Italia potrà tornare a essere “caput mundi”: facendo l'Italia!

mercoledì 24 aprile 2013

L'energia del territorio


Facendo il mio lavoro si incontrano tante realtà italiane eccellenti e progetti per cui vale la pena impegnarsi con la gioia di contribuire alla loro comunicazione e al loro successo. Si dice che l’Italia sia sempre meno verde, ma è proprio vero? In realtà, il progressivo abbandono dei terreni agricoli (negli ultimi trent’anni si è passati da 22,7 milioni di ettari a 17,27) ha portato a un aumento vertiginoso della superficie forestale, che ha raggiunto gli 11 milioni di ettari (dal 1920 a oggi è triplicata). Se consideriamo che oltre il 50% di quest’area è in stato di abbandono e che un bosco trascurato mette il territorio circostante a rischio di incendio e di dissesto idrogeologico, possiamo capire quanto grande sia il problema cui ci troviamo di fronte. Esiste una soluzione? Renovo, un’azienda di Mantova attiva nello sviluppo di progetti legati alle energie rinnovabili, è convinta di sì e l’ha trovata nella trasformazione del “cippato” da bosco in biomasse e quindi in energia. Ciò quanto sta alla base del progetto “Energia a KM 0”, che prevede la costruzione di piccole centrali termiche alimentate a biomassa proveniente da filiera corta. Oltre al cippato da bosco le centrali impiegheranno gli scarti agroindustriali (resti di ulivi e vigne) raccolti nei territori adiacenti agli impianti. Secondo la visione di Renovo, questo è il miglior modo per trasformare degli oneri ambientali per la società (in termini di rischio e di costi di smaltimento) in vere e proprie risorse da trasformare in energia termica messa a disposizione a prezzi vantaggiosi per gli abitanti e gli imprenditori locali. Questo progetto, però, non si ferma al vantaggio ambientale per i territori coinvolti: Renovo, infatti, ha stipulato un accordo con il consorzio CGM, una rete di cooperative sociali su scala nazionale, che prevede l’utilizzo di persone svantaggiate economicamente per le attività di recupero delle biomasse e di gestione degli impianti. Ma Renovo non si ferma qui: per le sue centrali ha voluto esclusivamente tecnologie italiane e all’avanguardia nel mondo. Possiamo quindi definire la società un’eccellenza del Made in Italy a tutto tondo che, con la propria attività, sostiene i territori dove decide di investire e aiuta l’ambiente e lo sviluppo di una tecnologia energetica che rappresenta una valida alternativa al consumo di risorse fossili. Sono questi i casi di eccellenza italiana che credo possano dare un presente, ma soprattutto un futuro al nostro Paese.

mercoledì 10 aprile 2013

Cuori in putrefazione...


Non mi piace per niente l’aria che si respira in Italia in questo periodo! In realtà, è da anni che è fetida, ma adesso siamo, secondo me, a livelli di guardia mai raggiunti. Grillo dice che vuole che si faccia come è successo in Egitto. A me questo ricorda solo moti di piazza con morti e feriti e, francamente, credo che si debba essere una mente disturbata per augurarselo. Però è vero che se vai in giro per le strade, se leggi i giornali, se visiti e frequenti i social network, la “rete”, come oggi si dice quasi fosse un soggetto provvisto di anima, non vedi e leggi che facce arrabbiate, insulti pesanti, malauguri truculenti, “vaffandate a quel paese”: tutti contro tutti, tanto peggio tanto meglio e via così, si salvi chi può o, meglio, non si salvi nessuno!!!

Ma che ci sta succedendo? Quale mente diabolica sta invadendo i nostri cervelli e i nostri cuori? Ma chi può veramente credere che solo prendendoci a “pistolettate” per strada potremo risolvere qualcosa? Neanche nei momenti peggiori degli anni di piombo, quegli anni ’70 nei quali sono stato un preoccupato, ma socialmente e politicamente attivo adolescente, avevo mai vissuto la cattiveria che percepisco oggi nell’aria.

Rinsaviamo gente! Non dico che dobbiamo tutti diventare santi o imitare Papa Francesco, ma metterci una mano sulla coscienza forse sì. Prima di inveire contro lo Stato assente nelle tragedie dei nostri vicini di casa che si suicidano per disperazione, forse dovremmo chiederci se a quei vicini abbiamo mai offerto una mano, un aiuto, un’assistenza, fosse anche solo psicologica e umana. Tutti con gli occhi e le orecchie puntate su quanto succede a Roma, nei palazzi del potere, oppure sui nostri terminali che ci inondano di invettive e cattiverie mediatiche, e nessuno che guarda più negli occhi di chi gli sta accanto…che tristezza: sento veramente una gran puzza nell’aria, quella dei cuori in putrefazione!

giovedì 7 marzo 2013

Made in Italy: biglietto di "andata e ritorno"!


Da sempre, l'Italia è uno dei Paesi più “esportatori” del mondo. Il nostro manufatto è molto apprezzato all’estero e, spesso, il cosiddetto “italian sounding” vende per miliardi di euro anche se, dietro a quei nomi che richiamano il tricolore, di italiano c’è ben poco. Ma all’estero poche aziende del Made in Italy riescono ad andare con profitto. Servono spesso capacità finanziarie, logistiche, imprenditoriali e di marketing che non tutte possiedono. Eppure, le aziende italiane che si affermano all’estero sono delle buone ambasciatrici del nostro “saper fare” e quindi, se da un lato esportano – e quindi generano ricchezza e occupazione per se stesse – dall’altro importano attenzione, apprezzamenti, reputazione e quindi ulteriore ricchezza per tutto il nostro virtuoso sistema produttivo territoriale. Ma rimane il problema delle dimensioni, dato che buona parte del comparto del Made in Italy di qualità è caratterizzato da un nanismo che fa fatica a raggiungere la massa critica necessaria per affrontare i mercati esteri. Pensate a cosa voglia dire, per esempio, affrontare i cosiddetti BRIC – Brasile, Russia, India e Cina – le nazioni che oggi stanno “tirando” l’economia mondiale: si tratta di quasi tre miliardi di persone! Senza dimenticare poi i Paesi OPEC, l’Africa Subsahriana, Dubai, l’Indonesia luoghi dove molta ricchezza è stata portata e viene generata.  Parliamo di territori sterminati, lontani e con pubblici numerosi ed eterogenei per cultura, religione, sistema politico e valori. Quindi, non basta avere l’intenzione di andarci con i propri prodotti e neanche, spesso, sono sufficienti  le capacità finanziarie che rischiano di essere dilapidate di fronte a società complesse con le quali l’imprenditore italiano non riesce a interagire, incapace di creare  un corretto rapporto commerciale con gli stakeholder locali. Ecco, quindi, la necessità di costruire un sistema che aiuti concretamente le imprese italiane ad andare all’estero. I mezzi a disposizione sono ancora troppo pochi, segno evidente che le nostre istituzioni politiche e territoriali ancora non hanno una “strategia Paese” chiara, forte, univoca e distintiva e non stanziano opportune risorse. Insomma, mi sembra sia ancora poco chiaro quanto potremmo contare su un economia nazionale più solida se solo ci fosse un supporto politico alle aziende per commercializzare all'estero, tornando più forti e con più mezzi per investire sul nostro territorio, implementando così le peculiari eccellenze locali che da sempre costituiscono il nostro "genius loci". Ma, in mancanza della politica, ancora una volta, tocca ai privati provarci. Quindi, a mio avviso, le aziende devono cercare, e semmai creare, piattaforme comuni dal punto di vista logistico, finanziario e di comunicazione e marketing. In questo, i consulenti possono fare molto per contribuire a creare reti di eccellenza che si rechino all’estero portando il “saper fare italiano” che contrasti e controbilanci il purtroppo diffuso e conosciuto “saper dire italiano senza costrutto” di una nostra certa classe dirigente politica.

venerdì 22 febbraio 2013

God Save The King


Che l’anticonformismo, in quanto padre della creatività, sia un valore portante del Made in Italy è fuori discussione. E pure io, nel mio piccolo, lo sposo in pieno. E, pertanto, la prima storia che voglio raccontarvi all’interno di questo blog sotto il segno del tricolore comincia a Londra e parla di una prossima incoronazione. Ma non è certo quella del “polveroso” Carlo, recentemente definito da Massimo Gramellini, “Principe di tutti i Precari in stand-by del mondo”, dato che l’inossidabile Elisabetta di mollare la corona sembra non volerne proprio sapere. Il nuovo re d’Inghilterra, con l’Inghilterra, ha poco a che fare, se non fosse che è in trattativa avanzata per comprare, alla modica cifra di 120 milioni di Euro, l’Admiralty Arch, un vero e proprio monumento nazionale su Trafalgar Square, per farne un top hotel di lusso e dare così una mano a risanare il debito pubblico britannico.  Non è un eccentrico volgarotto Tycoon in competizione con Mrs. Windsor.  E’ proprio  un Re.  Sulla stampa internazionale, dal Wall Street Journal a Time Magazine, viene da quasi 35 anni chiamato semplicemente Re Giorgio. Pur non avendo una goccia di sangue blu, pur essendo nato a Piacenza, pur  avendo cominciato la sua carriera alla Rinascente. Ma che sia un vero Re lo si intuisce dalla sua vita che più che privata è segreta. Dal suo impeccabile understatement in jeans e t-shirt nera che si concede ai rituali della mondanità meno dello stretto indispensabile. Giorgio Armani è, di fatto, un’icona di autentica imprenditoria italiana (guai a chiamarlo stilista). Lui è quello che si è permesso, in quel  trionfo di stravaganza che sono stati gli anni ’80, di imporre uno stile tutto giocato sulla sottrazione, sulla destrutturazione e sul minimalismo. Lui è quello che non ha mai rincorso i corsi e ricorsi della moda perché il suo stile, sempre fedele a se stesso, è comunque un “innovativo assoluto” e, come tale, contemporaneo in ogni epoca. Lui è quello che ha inventato il “greige”, un cromatismo che prima non esisteva. Ricordo un'estate, ero ragazzo, in cui in una calda sera su una spiaggia spagnola indossavo una maglietta con la celebre aquila. Niente di speciale.  Ma in quella occasione sono stato immediatamente avvicinato da un gruppo di turisti americani che con gli occhi trasognati bramavano di sapere dove l’avessi comprata. Per me era semplicemente una bella maglia, per loro era il desiderio supremo. E, in quel momento, mi sono sentito davvero “fiero” di essere italiano. A condividere, almeno il Paese di nascita, con uno come Giorgio Armani: l’artigiano che fa opere d’arte. Mi è capitato di conoscere alcune persone del suo staff. Tutti dichiarano l’enorme fatica a “stargli dietro”. Dato che lui, il quasi ottantenne Re Giorgio, tra l’inaugurazione di un “Emporio” a Tokyo e quella del suo albergo a Dubai, sta ancora li a misurare gli orli, a scegliere personalmente ogni singola fotografia o a perfezionare, ago e filo alla mano, gli abiti sulle modelle pronte per uscire in passerella. Poi, i suoi abiti dalla passerella vanno direttamente al Guggenheim, sui red carpet di Hollywood, ma anche sulle strade di tutto il mondo addosso alla gente comune. Dato che Re Giorgio ha sempre mantenuto, al contrario di molti suoi colleghi, un ferreo e imprescindibile legame con il mercato. D’altra parte, per uno che, nel regno dell’effimero sublime, dichiara che “eleganza non significa essere notati, ma essere ricordati”, non può che essere così. Ed è sempre da lui che parte, oggi, un accorato quanto preoccupato segnale circa la situazione italiana. "Chiunque governerà il nostro Paese", spiega dalle pagine del Sole 24 Ore, "deve dare una mano a chi tutti i giorni tiene alta l'immagine dell'Italia: gli artigiani e le imprese del settore realizzano manufatti bellissimi, che milioni di consumatori nel mondo hanno l'ambizione di possedere". Lancia anche un messaggio alle banche. "Sarebbe un suicidio" - spiega - "non supportare chi lavora seriamente e vuole internazionalizzarsi e anche le banche dovrebbero fare la loro parte. Purtroppo, qui in Italia siamo specialisti nella mancata valorizzazione di quel che sappiamo fare meglio".  E queste sono decisamente parole di un re. Un saggio re...