martedì 14 maggio 2013

La carta e il territorio


Da tempo sono convinto che in Italia abbiamo già tutto per uscire da una crisi economico-sociale nella quale, con maggiore consapevolezza in più da parte dei nostri connazionali e delle nostre istituzioni politiche nazionali e territoriali, non saremmo mai dovuti entrare o che, perlomeno, avremmo dovuto vivere solo marginalmente. E non sembri un’esagerazione quanto affermo!

Abbiamo il 65% del patrimonio culturale del mondo che, detta così, già colpisce come dato, e quasi spaventa, per il preponderante, direi schiacciante peso che la nostra nazione ha nel racconto della storia umana su questo pianeta. Eppure, non riusciamo ancora a valorizzare questo enorme tesoro che i nostri antenati ci hanno messo a disposizione. Non solo, ma lo stiamo progressivamente perdendo se presto non vi metteremo coscientemente e coscienziosamente mano.

In un contesto globale, in cui gli equilibri dell’economia cambiano e all’era dell’industrializzazione e della globalizzazione si sostituisce quella della terziarizzazione, del ritorno all’artigianato e della riscoperta dei territori, molti Paesi stanno cercando, non senza voli pindarici, di trovare argomenti e oggetti che possano dare risposta nell’offerta a questo nuovo tipo di domanda. Ma noi italiani abbiamo già tutto e, in fondo, noi delle ultime generazioni, la pappa ce la siamo trovata pronta.

Avete letto, per esempio, “La Carta e il Territorio” del francese Michel Houellebecq ? Racconta di una Francia dei decenni a venire in cui la gente torna a popolare i territori rurali, che progressivamente avevano perso attrattiva nell’era dell’urbanizzazione di massa tipica della fine del secolo scorso, perché la campagna e le tradizioni tornano di moda e i ricchi di tutto il mondo rivalutano un modo antico di vivere. Questo trasforma la Francia in una sorta di grande parco divertimenti. “Di fatto, i nuovi abitanti delle zone rurali non assomigliavano affatto ai loro predecessori. Non era stata la fatalità a indurli a lanciarsi nell’attività artigiana del cestaio, nel rinnovamento della casa contadina da affittare a turisti o nella produzione di formaggi, ma un progetto d’impresa, una scelta economica… Questa nuova generazione si mostrava più conservatrice, più rispettosa del denaro e delle gerarchie sociali. In modo sorprendente, il tasso di natalità in Francia era effettivamente risalito, senza tenere conto dell’immigrazione che si era comunque azzerata dopo la scomparsa degli ultimi lavori industriali e la riduzione drastica delle misure di previdenza sociale, all’inizio del terzo decennio del 2000”.

Appare evidente, quindi, come tutto il mondo stia cercando di tornare a una dimensione di vita, di produzione e di consumi più a misura d’uomo. Ciò ha niente a che vedere con la “decrescita felice”, anzi. L’obiettivo è invece quello di ritrovare un benessere cresciuto e diffuso, legato ai territori che viviamo e meno accentrato sia nelle mani di pochi individui che di pochi luoghi.  Il segreto sta nel continuare a crescere dal punto di vista sociale ed economico – il che significa una più equa ripartizione delle risorse e non una crescita indifferenziata e illusoriamente illimitata dei PIL – senza essere ostili verso il territorio di appartenenza, oltraggiandolo con comportamenti lesivi, ma anzi difendendolo e valorizzandolo. Solo così il mondo di potrà salvare e solo così l’Italia potrà tornare a essere “caput mundi”: facendo l'Italia!

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