venerdì 21 febbraio 2014

L'autorete della Rete...


Da tempo sostengo che la sovrabbondanza di comunicazione farlocca, non veritiera, millantata, urlata, “fanculeggiata” porterà non solo alla morte della professione del comunicatore, ma anche alla seria messa in discussione dei principi democratici su cui si reggono molte società civili.

Di questa situazione dovrebbero essere preoccupati tutti coloro che hanno a cuore la convivenza democratica e che aborrono le tirannie. In modo particolare, chi come me si occupa professionalmente di comunicazione, dovrebbe opporsi alla diffusione di (dis)informazioni urlate e, spesso, completamente inventate. Mi spiego meglio. La sana e corretta competizione in comunicazione non può che trovare terreno di applicazione nei sistemi democratici, dove la dialettica è non solo consentita, ma rappresenta addirittura la spina dorsale del funzionamento della società civile e politica. Attenzione però: se l’eccesso di democrazia – sì, perché anche la democrazia può diventare eccessiva quando non prevede più né regole né arbitri – sfocia in una vera e propria anarchia, si prepara l’avvento della tirannia, come ben scriveva Platone (*vedi sotto – ndr), avvicinando così la fine del principio democratico basato sulla libertà di informazione e di comunicazione.

In questo, la diffusione sempre più capillare dei mezzi di comunicazione di massa e la proprietà di molti di essi concentrata in mano a lobby finanziarie e, di conseguenza, politiche, hanno sempre più reso possibile ed efficace un uso manipolatorio della comunicazione. E non mi riferisco solo alle cosiddette “macchine del fango”. Assai più frequentemente, la manipolazione delle coscienze e il loro indirizzo verso correnti di pensiero comuni e di massa è molto più sottile e impercettibile. E sono le situazioni più pericolose, quelle potenzialmente più deflagranti. Questo avviene da tempo con la carta stampata, con le radio e le TV, i mezzi che con maggiore frequenza entravano nella nostra vita quotidiana. Ma, la possibilità di scegliere tra un mezzo e l’altro come fonte di informazione salvava il principio democratico del libero arbitrio. Non dimenticate che pur sempre parliamo di media a “una via”: cioè, noi scegliamo una fonte di informazione e da questa ci approvvigioniamo, con un ruolo per noi ben preciso, quello dell’utenza, senza grandi possibilità di interazione.
Ma, da qualche anno a questa parte, un nuovo attore si è inserito nella nostra quotidianità: parlo della comunicazione digitale, quella dei social network, quella che ci ha improvvisamente tolto singolarmente e come massa dall’anonimo ruolo di semplici fruitori e ci ha innalzato a quello di comunicatori, opinionisti, veicolatori di messaggi, privati e pubblici. Parlo, è evidente, della tanto decantata “Rete”, la grande piazza virtuale dove tutti possiamo dire la nostra, esprimere le nostre visioni, nel modo che più ci aggrada, quasi senza regole di contenuto e di linguaggio. La Rete sembrava l’apoteosi della democrazia, il punto di arrivo di chi lotta contro le comunicazioni di “regime”. Si è invece trasformata in una trappola: da luogo di democrazia a piazza di anarchia, dove tutto è vero e niente lo è allo stesso tempo. Il grande "paese dei balocchi" dove tutto si trasforma in illusione mediatica. Piazza caduta in parte nelle mani di manipolatori di coscienze e di comunicatori di pochi o nulli scrupoli che, pur di “vendere la notizia” a favore del loro committente, inventano dati, ricerche, (dis)informazioni, notizie.

Una notizia su tre che oggi leggiamo sulla “Rete” è falsa. E spesso cadiamo nell’errore di condividerla, presi dall’incazzatura che ci provoca quell’azienda che inquina, quel politico che ruba, quei parlamentari che si aumentano le pensioni ogni trenta giorni ecc. Gridare sempre “al lupo, al lupo”, condendo il tutto con qualche vaffaqui e vaffalì ci fa correre il rischio di non distinguere più il vero lupo dalla nonnina.
Arriviamo così sull’orlo dello sfascio democratico che non potrà che tradursi in una grave crisi per noi che la comunicazione professionale la facciamo da sempre in modo etico, trasparente, documentato, provato. Ma "l’autorete della rete" si ritorcerà contro tutti, non solo contro chi comunica in modo onesto: tutti sconfitti e nessun vincitore. Quando la fuffa avrà permeato l’intero sistema, non ci sarà sopravvivenza professionale e ci troveremo nella “terra di nessuno”, dove non esisterà più esclusione di colpi. Ma se i comunicatori seri ne soffriranno, l’intera società civile non sarà più tutelata dal punto di vista delle correttezza delle fonti di informazione e quindi vincerà il più forte, il più ricco, il più potente, il più disonesto. Il comunicatore onesto è pur sempre garante e testimone professionale di una democrazia in atto, solida e viva. Se scompare il comunicatore, e con lui la comunicazione sincera e documentata, morirà la democrazia. E il dittatore, che appositamente tanta confusione ha saputo creare ad arte per discreditare tutto e tutti, vincerà e dominerà incontrastato. “In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia”…meditate gente, meditate!!


*La sete di libertà - di Platone
"Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei  coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato; che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di  lui; che i giovani pretendano  gli  stessi  diritti, le stesse  considerazioni  dei  vecchi, e questi, per non parer troppo severi, diano ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia."

giovedì 16 gennaio 2014

Le forbici della miseria...


Avete mai letto e riflettuto sul teorema di Joseph Stiglitz?
Stiglitz, economista di fama internazionale, sostiene una cosa molto semplice: l’apertura della forbice tra i “sempre più  sempre più ricchi e i sempre più sempre più poveri” – la stessa che un altro famoso economista scomparso di recente, John Kenneth Galbraith sosteneva “si sarebbe prima o poi inesorabilmente chiusa con grande dolore e sofferenza per tutti “ – crea povertà, frena la crescita dei PIL e getta le basi delle recessioni.
Il teorema parte da una considerazione semplice: la divaricazione crescente della forbice uccide la classe media, ma è proprio la classe media quella che ha la maggiore propensione ai consumi. Infatti, sostiene Stiglitz, nei Paesi dove esiste una vasta “middle-class” c’è una decisa e concreta prosperità.
Gli economisti definiscono “propensione al consumo” l’atteggiamento che le classi sociali hanno nei confronti degli acquisti. Paradossalmente, i più ricchi e benestanti ce l’hanno più bassa rispetto al ceto medio, preferendo accumulare, spesso in modo improduttivo , le ricchezze. Il ceto medio, invece, tende a spendere buona parte o addirittura tutto il reddito che percepisce e, così facendo, genera flussi economici che sollevano le economie. Le politiche economiche dei governi che favoriscono i ricchi e tolgono ai meno abbienti, sopprimendo buona parte della classe media che così diventa povera, procurano recessioni che potrebbero diventare devastanti.

Stiglitz sostiene che quando l’1% più ricco della popolazione si appropria del 25% del reddito complessivo scoppia la “bomba atomica recessiva”. E richiama alla memoria i momenti storici in cui ciò accadde, come avvenne con la Grande Crisi degli anni ’30 o, recentemente, con la recessione devastante del secolo in corso. Stiglitz scrive: “Gli apologeti  della diseguaglianza sostengono che dare più soldi ai più ricchi sarà un vantaggio per tutti, perché ciò porterebbe a una maggiore crescita. Si tratta di un’idea chiamata ‘trickle-down- economics’ (economia dell’effetto a cascata). Essa ha un lungo pedigree e da tempo è stata screditata”.
Il teorema di Stiglitz è semplice: “Se l’indice di Gini (ovvero l’indicatore di diseguaglianza inventato da un economista italiano, Corrado Gini - NdR) aumenta, e perciò cresce la diseguaglianza, il ‘moltiplicatore’ degli investimenti diminuisce e quindi il PIL frena e poi cala”. E non solo. Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001, sostiene anche che la diseguaglianza deprime il PIL, non solo per la caduta dei consumi, ma anche perché rende il sistema “inefficiente”, dato che prevalgono rendite e monopoli. La caccia alle rendite comporta, a suo parere, un vero e proprio spreco di risorse che riduce la produttività e il benessere di una Nazione.

Insomma, secondo molti economisti, tra cui Joseph Stiglitz, aveva ragione Robin Hood che toglieva ai ricchi per dare ai poveri: solo così facendo potremo generare un futuro di prosperità!