Una recente ricerca del Centro
Studi Confindustria e di Prometeia ha confermato quanto il prodotto “bello e
ben fatto” del Made in Italy sia ancora, recessione o no, una variabile
vincente per poter rilanciare la nostra economia. La ricerca, giunta alla sua
IV edizione e chiamata efficacemente “Esportare la Dolce Vita”, evidenzia,
qualora ce ne fosse ancora bisogno, che le importazioni da parte dei soli Paesi
emergenti dei prodotti BBF (Belli e Ben Fatti) crescerà fino a 169 miliardi,
traguardo previsto per il 2018! Ben 54 miliardi in più rispetto al 2012, con un
aumento del 47%. In “pole position” in questa eccezionale crescita ci sono la
Russia, la Cina e gli Emirati Arabi Uniti.
Questo dato, di per sé più che
interessante, assume ancora maggior valore se consideriamo che non sono inclusi
nel prodotti BBF i beni di lusso, ma solo quelli di
fascia medio-alta dell’alimentare, dell’arredamento, dell’abbigliamento, delle
calzature e del tessile casa. A questi settori si aggiungono, per la prima
volta in questa edizione recentemente presentata a Milano, l’occhialeria
e l’oreficeria-gioielleria.
La ricerca poggia la sua previsione anche su un’altra
evidenza: nel 2018 ci saranno nel mondo ben 194 milioni di nuovi ricchi oltre
quelli già censiti nel 2012. E detta alcune raccomandazioni, fondamentali per
riuscire a raggiungere e implementare questi obiettivi decisamente alla portata
del nostro Paese e dei nostri imprenditori. La produzione culturale italiana, per
esempio, deve essere assolutamente rafforzata, perché in grado di consolidare l’immagine
del BBF nel mondo trasmettendo valori e contenuti dell’Italian style of
life, di traino a tutto il resto delle nostre esportazioni; poi, le istituzioni
devono spingere affinché la nostra imprenditoria difenda l’importanza della
filiera del BBF, che garantisce la qualità del prodotto italiano,
rinsaldando l’immagine che all’estero viene percepita del Made in Italy.
Anche perché si deve tenere presente che il tessuto imprenditoriale del BBF,
composto da 15mila imprese, rappresenta un quinto delle imprese
manifatturiere esportatrici italiane, con una dimensione contenuta, ma con una
grande vocazione proprio all’internazionalizzazione.
Ancora una
volta ci tengo a dire: abbiamo già molto in Italia, innanzitutto il nostro
immenso patrimonio artistico e culturale. Abbiamo poi una rete di imprese, in
parte già portate per indole all’esportazione, che rappresenta lo zoccolo
duro del Made in Italy e che ha ben fatto nel passato contribuendo non poco
alla costruzione di questa solida immagine del nostro prodotto all’estero. Infine,
i mutanti scenari dell’economia mondiale, con l’emergere di Paesi che identificano un nuovo
e potenzialmente fortissimo bacino di sbarco e di utenza per il nostro “saper
fare”. Tutto ciò si traduce in un grandissimo potenziale di benessere per la nostra
Italia e per noi che ci viviamo. Saremo mai capaci di comprendere che siamo
alla guida di una Ferrari che richiederebbe solo un po’ di buon senso per
vincere il Gran Premio della vita e della storia di questo nascente Terzo
Millennio?