Che l’anticonformismo, in quanto padre della creatività, sia un valore
portante del Made in Italy è fuori discussione. E pure io, nel mio piccolo, lo
sposo in pieno. E, pertanto, la prima storia che voglio raccontarvi all’interno
di questo blog sotto il segno del tricolore comincia a Londra e parla di una
prossima incoronazione. Ma non è certo quella del “polveroso” Carlo,
recentemente definito da Massimo Gramellini, “Principe di tutti i Precari in
stand-by del mondo”, dato che l’inossidabile Elisabetta di mollare la corona
sembra non volerne proprio sapere. Il nuovo re d’Inghilterra, con l’Inghilterra,
ha poco a che fare, se non fosse che è in trattativa avanzata per comprare,
alla modica cifra di 120 milioni di Euro, l’Admiralty Arch, un vero e proprio
monumento nazionale su Trafalgar Square, per farne un top hotel di lusso e dare
così una mano a risanare il debito pubblico britannico. Non è un eccentrico volgarotto Tycoon in
competizione con Mrs. Windsor. E’
proprio un Re. Sulla stampa internazionale, dal Wall Street
Journal a Time Magazine, viene da quasi 35 anni chiamato semplicemente Re
Giorgio. Pur non avendo una goccia di sangue blu, pur essendo nato a Piacenza,
pur avendo cominciato la sua carriera
alla Rinascente. Ma che sia un vero Re lo si intuisce dalla sua vita che più
che privata è segreta. Dal suo impeccabile understatement in jeans e t-shirt
nera che si concede ai rituali della mondanità meno dello stretto
indispensabile. Giorgio Armani è, di fatto, un’icona di autentica imprenditoria
italiana (guai a chiamarlo stilista). Lui è quello che si è permesso, in
quel trionfo di stravaganza che sono
stati gli anni ’80, di imporre uno stile tutto giocato sulla sottrazione, sulla
destrutturazione e sul minimalismo. Lui è quello che non ha mai rincorso i
corsi e ricorsi della moda perché il suo stile, sempre fedele a se stesso, è
comunque un “innovativo assoluto” e, come tale, contemporaneo in ogni epoca.
Lui è quello che ha inventato il “greige”, un cromatismo che prima non
esisteva. Ricordo un'estate, ero ragazzo, in cui in una calda sera su una spiaggia spagnola indossavo una maglietta con la celebre aquila. Niente di
speciale. Ma in quella occasione sono
stato immediatamente avvicinato da un gruppo di turisti americani che con gli
occhi trasognati bramavano di sapere dove l’avessi comprata. Per me era
semplicemente una bella maglia, per loro era il desiderio supremo. E, in quel
momento, mi sono sentito davvero “fiero” di essere italiano. A condividere, almeno
il Paese di nascita, con uno come Giorgio Armani: l’artigiano che fa opere
d’arte. Mi è capitato di conoscere alcune persone del suo staff. Tutti
dichiarano l’enorme fatica a “stargli dietro”. Dato che lui, il quasi
ottantenne Re Giorgio, tra l’inaugurazione di un “Emporio” a Tokyo e quella del
suo albergo a Dubai, sta ancora li a misurare gli orli, a scegliere
personalmente ogni singola fotografia o a perfezionare, ago e filo alla mano,
gli abiti sulle modelle pronte per uscire in passerella. Poi,
i suoi abiti dalla passerella vanno direttamente al Guggenheim, sui red carpet
di Hollywood, ma anche sulle strade di tutto il mondo addosso alla gente
comune. Dato che Re Giorgio ha sempre mantenuto, al contrario di molti suoi
colleghi, un ferreo e imprescindibile legame con il mercato. D’altra parte, per
uno che, nel regno dell’effimero sublime, dichiara che “eleganza non significa
essere notati, ma essere ricordati”, non può che essere così. Ed è sempre da
lui che parte, oggi, un accorato quanto preoccupato segnale circa la situazione
italiana. "Chiunque governerà il nostro Paese", spiega dalle pagine
del Sole 24 Ore, "deve dare una mano a chi tutti i giorni tiene alta
l'immagine dell'Italia: gli artigiani e le imprese del settore realizzano
manufatti bellissimi, che milioni di consumatori nel mondo hanno l'ambizione di
possedere". Lancia anche un messaggio alle banche. "Sarebbe un
suicidio" - spiega - "non supportare chi lavora seriamente e vuole
internazionalizzarsi e anche le banche dovrebbero fare la loro parte. Purtroppo,
qui in Italia siamo specialisti nella mancata valorizzazione di quel che
sappiamo fare meglio". E queste
sono decisamente parole di un re. Un saggio re...
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