venerdì 22 febbraio 2013

God Save The King


Che l’anticonformismo, in quanto padre della creatività, sia un valore portante del Made in Italy è fuori discussione. E pure io, nel mio piccolo, lo sposo in pieno. E, pertanto, la prima storia che voglio raccontarvi all’interno di questo blog sotto il segno del tricolore comincia a Londra e parla di una prossima incoronazione. Ma non è certo quella del “polveroso” Carlo, recentemente definito da Massimo Gramellini, “Principe di tutti i Precari in stand-by del mondo”, dato che l’inossidabile Elisabetta di mollare la corona sembra non volerne proprio sapere. Il nuovo re d’Inghilterra, con l’Inghilterra, ha poco a che fare, se non fosse che è in trattativa avanzata per comprare, alla modica cifra di 120 milioni di Euro, l’Admiralty Arch, un vero e proprio monumento nazionale su Trafalgar Square, per farne un top hotel di lusso e dare così una mano a risanare il debito pubblico britannico.  Non è un eccentrico volgarotto Tycoon in competizione con Mrs. Windsor.  E’ proprio  un Re.  Sulla stampa internazionale, dal Wall Street Journal a Time Magazine, viene da quasi 35 anni chiamato semplicemente Re Giorgio. Pur non avendo una goccia di sangue blu, pur essendo nato a Piacenza, pur  avendo cominciato la sua carriera alla Rinascente. Ma che sia un vero Re lo si intuisce dalla sua vita che più che privata è segreta. Dal suo impeccabile understatement in jeans e t-shirt nera che si concede ai rituali della mondanità meno dello stretto indispensabile. Giorgio Armani è, di fatto, un’icona di autentica imprenditoria italiana (guai a chiamarlo stilista). Lui è quello che si è permesso, in quel  trionfo di stravaganza che sono stati gli anni ’80, di imporre uno stile tutto giocato sulla sottrazione, sulla destrutturazione e sul minimalismo. Lui è quello che non ha mai rincorso i corsi e ricorsi della moda perché il suo stile, sempre fedele a se stesso, è comunque un “innovativo assoluto” e, come tale, contemporaneo in ogni epoca. Lui è quello che ha inventato il “greige”, un cromatismo che prima non esisteva. Ricordo un'estate, ero ragazzo, in cui in una calda sera su una spiaggia spagnola indossavo una maglietta con la celebre aquila. Niente di speciale.  Ma in quella occasione sono stato immediatamente avvicinato da un gruppo di turisti americani che con gli occhi trasognati bramavano di sapere dove l’avessi comprata. Per me era semplicemente una bella maglia, per loro era il desiderio supremo. E, in quel momento, mi sono sentito davvero “fiero” di essere italiano. A condividere, almeno il Paese di nascita, con uno come Giorgio Armani: l’artigiano che fa opere d’arte. Mi è capitato di conoscere alcune persone del suo staff. Tutti dichiarano l’enorme fatica a “stargli dietro”. Dato che lui, il quasi ottantenne Re Giorgio, tra l’inaugurazione di un “Emporio” a Tokyo e quella del suo albergo a Dubai, sta ancora li a misurare gli orli, a scegliere personalmente ogni singola fotografia o a perfezionare, ago e filo alla mano, gli abiti sulle modelle pronte per uscire in passerella. Poi, i suoi abiti dalla passerella vanno direttamente al Guggenheim, sui red carpet di Hollywood, ma anche sulle strade di tutto il mondo addosso alla gente comune. Dato che Re Giorgio ha sempre mantenuto, al contrario di molti suoi colleghi, un ferreo e imprescindibile legame con il mercato. D’altra parte, per uno che, nel regno dell’effimero sublime, dichiara che “eleganza non significa essere notati, ma essere ricordati”, non può che essere così. Ed è sempre da lui che parte, oggi, un accorato quanto preoccupato segnale circa la situazione italiana. "Chiunque governerà il nostro Paese", spiega dalle pagine del Sole 24 Ore, "deve dare una mano a chi tutti i giorni tiene alta l'immagine dell'Italia: gli artigiani e le imprese del settore realizzano manufatti bellissimi, che milioni di consumatori nel mondo hanno l'ambizione di possedere". Lancia anche un messaggio alle banche. "Sarebbe un suicidio" - spiega - "non supportare chi lavora seriamente e vuole internazionalizzarsi e anche le banche dovrebbero fare la loro parte. Purtroppo, qui in Italia siamo specialisti nella mancata valorizzazione di quel che sappiamo fare meglio".  E queste sono decisamente parole di un re. Un saggio re...

Nessun commento:

Posta un commento