lunedì 30 settembre 2013

Buono dentro, bello fuori: così deve essere il vero cibo "Made in Italy"


Il mio amico Daniele Savi, uno dei più grandi esperti di enogastronomia che conosco, un giorno mi raccontava di quanti fantastici prodotti alimentari della nostra migliore tradizione mediterranea siano spesso purtroppo impresentabili per il “vestito” che portano.

Che buono quell’olio extravergine d’oliva, o quei taralli pugliesi… e che dire dei sott’oli toscani e dei salumi emiliani? Sì, ma che brutto marchio, che colori “poco alimentari”, che pessima scelta del materiale del packaging... Insomma, il cibo, prima di arrivare al palato, passa dagli occhi. E molto Made in Italy, di grande qualità organolettica, per pura e semplice  ignoranza delle regole del marketing e della comunicazione di chi li produce, invalida gli sforzi di anni di tradizioni, di “saper fare” del nostro incomparabilmente affascinante e storico territorio.

Questo diventa uno dei motivi (magari il più facilmente evitabile o risolvibile), per il quale realtà di grande gusto dell’enogastronomia italiana, rimangono spesso limitate negli angusti confini di contrade, alimentando quel nanismo dell’impresa del Belpaese che non riesce a fare sistema e a sfruttare né la bontà dei suoi prodotti né la fama del marchio “Made in Italy”, che ricordo essere il terzo brand più conosciuto al mondo.

In un convegno a cui ho assistito di recente si è molto discusso anche di materiali. Si diceva per esempio di quanto sia importante per un “liquido” poter essere visto attraverso un pack trasparente e dal bel design, tipicamente attraverso vasi e bottiglie di vetro, come antichissima tradizione vuole. Sono d’accordo: il cibo Made in Italy deve essere oltre che buono e di qualità anche ben confezionato perché, soprattutto all’estero, è questo ciò che si aspettano da un prodotto italiano: un design dell’involucro all’altezza della nostra fama nel “bello e buono”.

Che dire allora di un vino che invece di essere confezionato nella sua classica bottiglia di vetro, con un bel collarino e un’altrettanto bella etichetta (e ultimamente se ne vedono sul mercato di veramente interessanti…) viene messo su uno scaffale in un terribile cartone? E dell’olio extra vergine d’oliva (passi quello di semi) in una bottiglia di plastica? Che senso hanno queste scelte, se non quello di rappresentare puri contenimenti dei costi, a discapito però del fascino del prodotto, del contenuto emozionale che potrebbe trasferire, incapace così di distinguersi dalla concorrenza di prodotti di altro "made", con caratteristiche sicuramente meno ambite e ricercate?
Si potrebbe trattare del miglior vino e del più pregiato olio, ma non lo vedrete mai sulla mia tavola!!

3 commenti:

  1. Squisito Alessandro,
    anzitutto lusingato ti ringrazio per la citazione, che peraltro auspico di meritare.
    Ritengo però corretto porre alla tua attenzione che il tema trattato è solo una singola componente - seppur inalienabile e più facile da immaginare - di un complesso assieme di fattori, ognuno dei quali ha un sostanzioso (e determinante) peso specifico.
    Il mozzo o un raggio non sono la ruota.
    Mi sento anche d'aggiungere che - per come la conosco - l'Italia non è in grado di preparare "imprenditori", reagire alle sabbie mobili in cui da decenni sprofonda, confrontarsi con un "mercato globale" ben più emancipato e consapevole. E l'esemplare esempio dei pochi non basta a riscattare la moltitudine delle PMI che aggrappate alla loro paperella galleggiano nel periglioso mare-magnum dell'attuale mercato appunto.
    Lo scrivo con consapevole dispiacere e con altrettanto convincimento.
    Lo scrivo dopo aver vissuto e studiato le dinamiche che altrove dettano le regole (che ci stanno "invadendo": vedi i cinesi a Milano, studiati da vicino!), dapprima nel vecchio mondo, poi ad ovest ed infine in oriente.
    Lo scrivo, in ultimo, con il rammarico d'aver tentato - da quasi un trentennio - con tutte le mie forze di metterci del mio affinché questo non accadesse.
    Grazie dell'ospitalità, a presto
    daniele

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  2. Giusto per non farci mancar nulla...
    "chi è causa del suo mal pianga se stesso".

    http://www.qualeformaggio.it/italia/59-attualita/2120-sbarca-in-cina-brazzale-col-made-in-italy-fatto-anche-in-moravia

    questo è ciò per cui ti batti?!
    Symbola dovrebbe costituirsi parte civile... o forse è meglio metter la testa sotto la sabbia.

    ;)
    abbracci

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  3. ciao Daniele e scusa il ritardo con cui rispondo, ma il lavoro mi ha tenuto in giro per l'Italia e solo adesso mi siedo alla mia postazione con un po' di calma. Capisco la tua amarezza, ma non la condivido. Potrei farti decine di esempi, centinaia di aziende virtuose del Made in Italy, di grande livello qualitativo, di ottima reputazione e solidità. Servirebbero a controbilanciare i "casi negativi" che, con maggiore facilità, solcano i confini dei media e più facilmente vengono percepiti da noi tutti. Con questo non voglio fare l'ottimista a ogni costo, ma nemmeno mi piace il piagnisteo un po' tipico delle nostre latitudini. Ci siamo battuti e ci battiamo per un'utopia? Bene, penso che non ci sia niente di più alto e lodevole. E se poi qualche produttore, di qualsiasi settore e mercato faccia parte, pensa bene di delocalizzarsi, questo di certo non invalida il nostro impegno e la nostra voglia di continuare a lottare per difendere ciò che di buono sa esprimere il nostro territorio. Anzi... Un abbraccio!

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