Il mio amico Daniele Savi, uno dei più grandi esperti di
enogastronomia che conosco, un giorno mi raccontava di quanti fantastici
prodotti alimentari della nostra migliore tradizione mediterranea siano spesso
purtroppo impresentabili per il “vestito” che portano.
Che buono quell’olio extravergine d’oliva, o quei taralli
pugliesi… e che dire dei sott’oli toscani e dei salumi emiliani? Sì, ma che
brutto marchio, che colori “poco alimentari”, che pessima scelta del materiale
del packaging... Insomma, il cibo, prima di arrivare al palato, passa dagli
occhi. E molto Made in Italy, di grande qualità organolettica, per pura e
semplice ignoranza delle regole del
marketing e della comunicazione di chi li produce, invalida gli sforzi di anni
di tradizioni, di “saper fare” del nostro incomparabilmente affascinante e
storico territorio.
Questo diventa uno dei motivi (magari il più facilmente evitabile o risolvibile), per il quale realtà di grande gusto
dell’enogastronomia italiana, rimangono spesso limitate negli angusti confini di
contrade, alimentando quel nanismo dell’impresa del Belpaese che non riesce a fare
sistema e a sfruttare né la bontà dei suoi prodotti né la fama del marchio
“Made in Italy”, che ricordo essere il terzo brand più conosciuto al mondo.
In un convegno a cui ho assistito di recente si è molto
discusso anche di materiali. Si diceva per esempio di quanto sia importante per
un “liquido” poter essere visto attraverso un pack trasparente e dal bel design,
tipicamente attraverso vasi e bottiglie di vetro, come antichissima tradizione
vuole. Sono d’accordo: il cibo Made in Italy deve essere oltre che buono e di
qualità anche ben confezionato perché, soprattutto all’estero, è questo ciò che
si aspettano da un prodotto italiano: un design dell’involucro all’altezza
della nostra fama nel “bello e buono”.
Che dire allora di un vino che invece di essere confezionato
nella sua classica bottiglia di vetro, con un bel collarino e un’altrettanto
bella etichetta (e ultimamente se ne vedono sul mercato di veramente interessanti…)
viene messo su uno scaffale in un terribile cartone? E dell’olio extra vergine
d’oliva (passi quello di semi) in una bottiglia di plastica? Che senso hanno queste scelte, se non quello di rappresentare puri contenimenti dei costi, a discapito però del fascino del prodotto, del contenuto emozionale che potrebbe trasferire, incapace così di distinguersi dalla concorrenza di prodotti di altro "made", con caratteristiche sicuramente meno ambite e ricercate?
Si potrebbe
trattare del miglior vino e del più pregiato olio, ma non lo vedrete mai sulla
mia tavola!!