martedì 16 luglio 2013

"Io sono Cultura" - L'Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi


La Cultura è decisamente uno strumento che serve all’Italia per rilanciarsi in questi tempi di recessione e Symbola, la Fondazione per le Qualità Italiane, (www.symbola.net) se ne è occupata in maniera concreta nel suo Rapporto 2013, denominato “Io sono cultura, L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, presentato all’Università di Macerata lo scorso 4 luglio 2013 e realizzato insieme a Unioncamere, con la collaborazione della Regione Marche.

L’Italia, per la sua storia e per i suoi “prodotti”, è conosciuta e globalmente stimata, sia a livello artistico che a livello commerciale. Difatti, in un ranking mondiale sulle diverse tipologie di prodotto esportate, l’Italia si classifica ai primi posti su 5.517 prodotti. Siamo di “tendenza”, infatti, quando si parla di design, moda, meccanica, fino ad arrivare al nostro punto forte, l’agro-alimentare.

Punto fondamentale del rapporto è la scoperta che la Cultura è anticiclica grazie al moltiplicatore culturale, che ci mostra come per ogni euro che si genera in un museo o sito archeologico, se ne producano altri 2 di ricchezza per il territorio. L’artigianato artistico, insieme alle altre industrie creative, ne generano ulteriori 2,1. La produzione di un audiovisivo, di un libro o di una rappresentazione teatrale ancora altri 1,2, dimostrando ampiamente, quindi, che investire in cultura conviene, contraddicendo quanti, in modo superficiale e poco informato affermano che “con la cultura non si mangia”!

La Cultura, inoltre, contamina altri settori in modo diretto: i trasporti, il turismo, il commercio, la comunicazione e il marketing solo per citarne alcuni. Crea un effetto traino che porta a generare valore economico e sociale, cosa assai necessaria in questo momento particolare in cui ci troviamo.
Quando si parla del “sistema produttivo culturale”, ci si riferisce sicuramente al nostro ben conosciuto patrimonio storico-artistico, ma anche alle “performing arts”, cioè  all’intrattenimento, come la radio, il cinema, il design, l’editoria e così via. Se analizziamo il moltiplicatore del settore, in termini monetari, gli 80,8 miliardi di euro di valore aggiunto realizzati da tutti i comparti produttivi che si occupano di Cultura (inclusa la componente pubblica e quella non profit) nel 2012, sono riusciti ad attivare quasi 133,4 miliardi di euro, delineando una filiera culturale intesa in senso lato di 214,2 miliardi di euro, che equivalgono al 15,3% del PIL prodotto dall’intera economia del nostro Paese. Tra le regioni più virtuose, in grado di generare un buon moltiplicatore della ricchezza della cultura, troviamo il Friuli-Venezia Giulia, il Veneto, la Toscana e la Lombardia, seguite dalle Marche. Chiudono questa classifica la Liguria, il Molise, la Sardegna e la Calabria.
 
Nell’attuale situazione, purtroppo, le industrie culturali stanno sperimentando la ritrazione del sostegno pubblico, anche se la logica spingerebbe a non fare inaridire questa vena fertilissima. Ed è così che di fronte ai tagli pubblici subìti, si crea il bisogno di trovare finanziamenti, generando molteplici  iniziative di "crowdfunding digitale", una nuova maniera di raccogliere investimenti privati per progetti attraverso la "rete", come, tanto per citare un esempio, www.siamosoci.com

La Cultura italiana ha dimostrato, attraverso proficui risultati, che è il nostro grande e forse inestimabile patrimonio da conservare e coltivare con cura. Dobbiamo istituzionalmente e come popolo sentire la responsabilità di questo compito. In primo luogo, perché siamo debitori di questa tutela verso il nostro Paese e verso il resto del mondo e, in una prospettiva più commerciale, perché ci restituisce una grande ricchezza sul territorio, come il moltiplicatore culturale dimostra.

Questa risorsa, che è anticiclica, sostiene un’immagine internazionale di commercio molto competitiva, da alimentare con futuri  piani imprenditoriali, anche basati sul crowdfunding, che  rilanceranno e porteranno sempre più valore al territorio di pertinenza.

lunedì 8 luglio 2013

"L'Italia deve fare l'Italia!"


Non mi piace fare l’ottimista a tutti i costi. Ma, parafrasando Sant’Agostino che sosteneva che “il diavolo è solo un modo diverso di guardare Dio”, intendendo con ciò che la medaglia ha sempre due facce da osservare con occhi sinceri e soprattutto onesti, senza pregiudizi di sorta, direi che anche il nostro Made in Italy possa essere valutato secondo diversi punti di vista.

Da una parte, è vero, stiamo perdendo alcuni nostri pezzi pregiati. E’ di queste ore che anche "Loro Piana" è finita sotto le “grinfie” francesi, per esempio. Da questo stesso punto di vista c’è sempre da considerare la progressiva perdita di credibilità di cui, complice una classe politica inadeguata, sta ancora soffrendo il nostro beneamato Paese. “Il modello di specializzazione dell’Italia è molto simile a quello di Paesi emergenti come la Cina – si legge sull’ultimo rapporto, datato 4 aprile 2013, dedicato all’Italia dalla Commissione Europea – con la maggior parte del valore aggiunto in settori tradizionali a bassa tecnologia, principalmente a causa della limitata capacità innovativa delle imprese italiane”.

Ma, è proprio così? Siamo così scarsi con le nuove tecnologie e siamo così poco competitivi in termini di innovazione complessiva? Anche qui dipende dai punti di vista e, soprattutto, dalle lenti del pregiudizio, che condizionano. E non poco.

E’ stato appena pubblicato un importante e decisamente sorprendente rapporto (almeno per chi usa gli occhiali sbagliati) realizzato congiuntamente dalla Fondazione Symbola, da Unioncamere e dalla Fondazione Edison che si chiama “I.T.A.L.I.A. – Geografie del nuovo Made in Italy” che ci mostra e dimostra, numeri alla mano, un’Italia diversa.

Intanto, I.T.A.L.I.A., è un acronimo che sta per “Industria, Turismo, Agroalimentare, Localismo e Sussidiarietà, Innovazione, Arte e Cultura”, in poche parole i pilastri del Made in Italy, le frecce all’arco del nostro Paese nei confronti del mondo. Lo studio è corposo e ne consiglio un’approfondita lettura perché, statene certi, non troverete niente di scontato.

Mi limito a darvi qualche chicca che, spero, vi invoglierà a cercarlo e a scaricarvelo dal sito di Symbola (www.symbola.net).

Cominciamo con un numero: quasi mille prodotti “Made in Italy”, nonostante l’indubbia crisi economica che sta investendo l’Italia come la maggior parte del mondo, generano un saldo commerciale attivo da record di ben 183 miliardi di dollari! Nel rapporto, infatti, mentre si ammette l’indubbia difficoltà di cui sta soffrendo il nostro mercato interno, si sottolinea come non si possano continuare ad adottare parametri obsoleti, quali la quota di mercato detenuta sull’export mondiale, per misurare la competitività del sistema produttivo italiano. Se invece prendiamo come indicatore della nostra competitività la bilancia commerciale dei singoli prodotti, ecco come i risultati cambiano enormemente ed emergono la creatività e la duttilità del nostro Made in Italy, con le conseguenti capacità di far fronte, al mutare degli scenari e ai marosi della crisi economica. Infatti, l’Italia è uno dei soli 5 Paesi del G-20 (insieme a Cina, Germania, Giappone e Sud Corea) ad avere un surplus strutturale con l’estero nei prodotti manufatti non alimentari. Ciò vuol dire che, escludendo l’energia e le materie prime agricole e minerarie, l’Italia è uno dei Paesi più competitivi a livello mondiale. Stupiti? Eppure, lo dicono i numeri, vantiamo quasi 1000 prodotti in cui siamo nei primi tre posti al mondo per saldo commerciale attivo con l’estero. Nel rapporto si usa un’efficace metafora: quella dell’Olimpiade. Se pensiamo al mercato globale come a un’Olimpiade e ai prodotti come altrettante discipline sportive in cui primeggia chi ha un export decisamente migliore dell’import, l’Italia sale sul podio ben 1000 volte! Meglio di noi si comportano solo, e sottolineo solo, Cina, Germania e USA. Ed è ovvio che, se poi guardiamo esclusivamente all’Europa, il campionato europeo lo perdiamo solo nei confronti della Germania, noi ben davanti alla Francia, per esempio, le cui finanziarie stanno facendo shopping dalle nostre parti.

Se andiamo nel dettaglio, continuando con la nostra metafora, l’Italia vanta 235 medaglie d’oro (cioè altrettanti prodotti!) per saldo commerciale. Queste eccellenze del podio ci portano a guadagnare, come sistema Paese, ben 63 miliardi di dollari. Le “medaglie d’argento”, che sono 390, contribuiscono con ulteriori 74 miliardi di dollari di attivo. Completano il podio le “medaglie di bronzo” dell’export italiano: 321 prodotti che portano ancora 45 miliardi di valore complessivo. Da non dimenticare poi i quarti e quinti in classifica, pur sempre altrettante "eccellenze", che sono ben 492 prodotti, che aggiungono ulteriori 38,4 miliardi di dollari, da sommare ai 183 miliardi dei primi tre classificati.

Basta ciò per essere contenti e soddisfatti? Sicuramente no! Il rapporto però traccia delle chiare linee guida per le istituzioni e per la classe dirigente di questo Paese, su quanto l’Italia dovrebbe fare per uscire, e in fretta, da questa crisi, magari addirittura rinforzata rispetto a prima del suo esplodere. La ricetta? "L'Italia, deve fare l’Italia” e null’altro! Sarebbe difatti già molto procedere secondo le “nostre corde”, quelle che abbiamo da secoli a disposizione, grazie alle competenze e alle tipicità accumulate dai nostri territori. Ciò basterebbe ad accaparrarsi sempre più medaglie d’oro sul terreno della competitività mondiale, moltiplicando quindi la ricchezza che da queste si genera e migliorando di conseguenza lo stato di salute della nostra economia.

Mi fermo qui, sperando di avervi solleticato l’interesse per un approfondimento e per una lettura del rapporto completo che, ripeto, per molti versi potrebbe risultare sorprendente. Come diceva Thomas Alva Edison: “Se fossimo ciò che siamo capaci di fare, rimarremmo letteralmente sbalorditi”.