La Cultura è decisamente uno strumento che serve all’Italia
per rilanciarsi in questi tempi di recessione e Symbola, la Fondazione per le
Qualità Italiane, (www.symbola.net) se ne
è occupata in maniera concreta nel suo Rapporto 2013, denominato “Io sono
cultura, L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, presentato
all’Università di Macerata lo scorso 4 luglio 2013 e realizzato insieme a
Unioncamere, con la collaborazione della Regione Marche.
L’Italia, per la sua storia e per i suoi “prodotti”, è
conosciuta e globalmente stimata, sia a livello artistico che a livello
commerciale. Difatti, in un ranking mondiale sulle diverse tipologie di
prodotto esportate, l’Italia si classifica ai primi posti su 5.517 prodotti.
Siamo di “tendenza”, infatti, quando si parla di design, moda, meccanica, fino
ad arrivare al nostro punto forte, l’agro-alimentare.
Punto fondamentale del rapporto è la scoperta che la Cultura
è anticiclica grazie al moltiplicatore
culturale, che ci mostra come per ogni euro che si genera in un museo o
sito archeologico, se ne producano altri 2 di ricchezza per il territorio. L’artigianato
artistico, insieme alle altre industrie creative, ne generano ulteriori 2,1. La
produzione di un audiovisivo, di un libro o di una rappresentazione teatrale ancora
altri 1,2, dimostrando ampiamente, quindi, che investire in cultura conviene,
contraddicendo quanti, in modo superficiale e poco informato affermano che “con
la cultura non si mangia”!
La Cultura, inoltre, contamina altri settori in modo diretto: i trasporti, il turismo, il commercio, la comunicazione e il marketing solo per citarne alcuni.
Crea un effetto traino che porta a generare valore economico e sociale, cosa
assai necessaria in questo momento particolare in cui ci troviamo.
Quando si parla del “sistema produttivo culturale”, ci
si riferisce sicuramente al nostro ben conosciuto patrimonio
storico-artistico, ma anche alle “performing arts”, cioè all’intrattenimento, come la radio, il cinema,
il design, l’editoria e così via. Se analizziamo il moltiplicatore del settore,
in termini monetari, gli 80,8 miliardi di euro di valore aggiunto realizzati da
tutti i comparti produttivi che si occupano di Cultura (inclusa la componente
pubblica e quella non profit) nel 2012, sono riusciti ad attivare quasi 133,4
miliardi di euro, delineando una filiera culturale intesa in senso lato di
214,2 miliardi di euro, che equivalgono al 15,3% del PIL prodotto dall’intera
economia del nostro Paese. Tra le regioni più virtuose, in grado di generare un buon moltiplicatore della ricchezza della cultura, troviamo il Friuli-Venezia Giulia, il Veneto, la Toscana e la Lombardia, seguite dalle Marche. Chiudono questa classifica la Liguria, il Molise, la Sardegna e la Calabria.
Nell’attuale situazione, purtroppo, le industrie culturali
stanno sperimentando la ritrazione del sostegno pubblico, anche se la logica
spingerebbe a non fare inaridire questa vena fertilissima. Ed è così che di fronte ai
tagli pubblici subìti, si crea il bisogno di trovare finanziamenti, generando
molteplici iniziative di "crowdfunding digitale",
una nuova maniera di raccogliere investimenti privati per progetti attraverso
la "rete", come, tanto per citare un esempio, www.siamosoci.com
La Cultura italiana ha dimostrato, attraverso proficui
risultati, che è il nostro grande e forse inestimabile patrimonio da conservare
e coltivare con cura. Dobbiamo istituzionalmente e come popolo sentire la responsabilità
di questo compito. In primo luogo, perché siamo debitori di questa tutela verso
il nostro Paese e verso il resto del mondo e, in una prospettiva più commerciale,
perché ci restituisce una grande ricchezza sul territorio, come il moltiplicatore culturale dimostra.
Questa risorsa, che è anticiclica, sostiene un’immagine
internazionale di commercio molto competitiva, da alimentare con futuri piani imprenditoriali, anche basati sul
crowdfunding, che rilanceranno e
porteranno sempre più valore al territorio di pertinenza.