lunedì 20 maggio 2013

Belli e Ben Fatti!


Una recente ricerca del Centro Studi Confindustria e di Prometeia ha confermato quanto il prodotto “bello e ben fatto” del Made in Italy sia ancora, recessione o no, una variabile vincente per poter rilanciare la nostra economia. La ricerca, giunta alla sua IV edizione e chiamata efficacemente “Esportare la Dolce Vita”, evidenzia, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che le importazioni da parte dei soli Paesi emergenti dei prodotti BBF (Belli e Ben Fatti) crescerà fino a 169 miliardi, traguardo previsto per il 2018! Ben 54 miliardi in più rispetto al 2012, con un aumento del 47%. In “pole position” in questa eccezionale crescita ci sono la Russia, la Cina e gli Emirati Arabi Uniti.

Questo dato, di per sé più che interessante, assume ancora maggior valore se consideriamo che non sono inclusi nel prodotti BBF i beni di lusso, ma solo quelli di fascia medio-alta dell’alimentare, dell’arredamento, dell’abbigliamento, delle calzature e del tessile casa. A questi settori si aggiungono, per la prima volta in questa edizione recentemente presentata a Milano, l’occhialeria e l’oreficeria-gioielleria.

La  ricerca poggia la sua previsione anche su un’altra evidenza: nel 2018 ci saranno nel mondo ben 194 milioni di nuovi ricchi oltre quelli già censiti nel 2012. E detta alcune raccomandazioni, fondamentali per riuscire a raggiungere e implementare questi obiettivi decisamente alla portata del nostro Paese e dei nostri imprenditori. La produzione culturale italiana, per esempio, deve essere assolutamente rafforzata, perché in grado di consolidare l’immagine del BBF nel mondo trasmettendo valori e contenuti dell’Italian style of life, di traino a tutto il resto delle nostre esportazioni; poi, le istituzioni devono spingere affinché la nostra imprenditoria difenda l’importanza della filiera del BBF, che garantisce la qualità del prodotto italiano, rinsaldando l’immagine che all’estero viene percepita del Made in Italy. Anche perché si deve tenere presente che  il tessuto imprenditoriale del BBF, composto da 15mila imprese, rappresenta un quinto delle imprese manifatturiere esportatrici italiane, con una dimensione contenuta, ma con una grande vocazione proprio all’internazionalizzazione.

Ancora una volta ci tengo a dire: abbiamo già molto in Italia, innanzitutto il nostro immenso patrimonio artistico e culturale. Abbiamo poi una rete di imprese, in parte già portate per indole all’esportazione, che rappresenta lo zoccolo duro del Made in Italy e che ha ben fatto nel passato contribuendo non poco alla costruzione di questa solida immagine del nostro prodotto all’estero. Infine, i mutanti scenari dell’economia mondiale, con  l’emergere di Paesi che identificano un nuovo e potenzialmente fortissimo bacino di sbarco e di utenza per il nostro “saper fare”. Tutto ciò si traduce in un grandissimo potenziale di benessere per la nostra Italia e per noi che ci viviamo. Saremo mai capaci di comprendere che siamo alla guida di una Ferrari che richiederebbe solo un po’ di buon senso per vincere il Gran Premio della vita e della storia di questo nascente Terzo Millennio?

martedì 14 maggio 2013

La carta e il territorio


Da tempo sono convinto che in Italia abbiamo già tutto per uscire da una crisi economico-sociale nella quale, con maggiore consapevolezza in più da parte dei nostri connazionali e delle nostre istituzioni politiche nazionali e territoriali, non saremmo mai dovuti entrare o che, perlomeno, avremmo dovuto vivere solo marginalmente. E non sembri un’esagerazione quanto affermo!

Abbiamo il 65% del patrimonio culturale del mondo che, detta così, già colpisce come dato, e quasi spaventa, per il preponderante, direi schiacciante peso che la nostra nazione ha nel racconto della storia umana su questo pianeta. Eppure, non riusciamo ancora a valorizzare questo enorme tesoro che i nostri antenati ci hanno messo a disposizione. Non solo, ma lo stiamo progressivamente perdendo se presto non vi metteremo coscientemente e coscienziosamente mano.

In un contesto globale, in cui gli equilibri dell’economia cambiano e all’era dell’industrializzazione e della globalizzazione si sostituisce quella della terziarizzazione, del ritorno all’artigianato e della riscoperta dei territori, molti Paesi stanno cercando, non senza voli pindarici, di trovare argomenti e oggetti che possano dare risposta nell’offerta a questo nuovo tipo di domanda. Ma noi italiani abbiamo già tutto e, in fondo, noi delle ultime generazioni, la pappa ce la siamo trovata pronta.

Avete letto, per esempio, “La Carta e il Territorio” del francese Michel Houellebecq ? Racconta di una Francia dei decenni a venire in cui la gente torna a popolare i territori rurali, che progressivamente avevano perso attrattiva nell’era dell’urbanizzazione di massa tipica della fine del secolo scorso, perché la campagna e le tradizioni tornano di moda e i ricchi di tutto il mondo rivalutano un modo antico di vivere. Questo trasforma la Francia in una sorta di grande parco divertimenti. “Di fatto, i nuovi abitanti delle zone rurali non assomigliavano affatto ai loro predecessori. Non era stata la fatalità a indurli a lanciarsi nell’attività artigiana del cestaio, nel rinnovamento della casa contadina da affittare a turisti o nella produzione di formaggi, ma un progetto d’impresa, una scelta economica… Questa nuova generazione si mostrava più conservatrice, più rispettosa del denaro e delle gerarchie sociali. In modo sorprendente, il tasso di natalità in Francia era effettivamente risalito, senza tenere conto dell’immigrazione che si era comunque azzerata dopo la scomparsa degli ultimi lavori industriali e la riduzione drastica delle misure di previdenza sociale, all’inizio del terzo decennio del 2000”.

Appare evidente, quindi, come tutto il mondo stia cercando di tornare a una dimensione di vita, di produzione e di consumi più a misura d’uomo. Ciò ha niente a che vedere con la “decrescita felice”, anzi. L’obiettivo è invece quello di ritrovare un benessere cresciuto e diffuso, legato ai territori che viviamo e meno accentrato sia nelle mani di pochi individui che di pochi luoghi.  Il segreto sta nel continuare a crescere dal punto di vista sociale ed economico – il che significa una più equa ripartizione delle risorse e non una crescita indifferenziata e illusoriamente illimitata dei PIL – senza essere ostili verso il territorio di appartenenza, oltraggiandolo con comportamenti lesivi, ma anzi difendendolo e valorizzandolo. Solo così il mondo di potrà salvare e solo così l’Italia potrà tornare a essere “caput mundi”: facendo l'Italia!